Cartelle di pagamento: una volta su cinque richieste di pagamento senza motivo
La norma di legge che regolava e che regola tutt’ora i tempi per la notifica delle cartelle da
parte del Concessionario per la Riscossione è l’articolo 25 del D.P.R. 602/73 il quale ha avuto
ben 10 sostanziali modifiche legislative di cui le ultime 7 nel breve volgere di pochi anni.
Ciò ha portato ad obiettive condizioni di incertezza sulla portata della legge la quale – come se
non bastasse – ha subito anche un intervento della Corte Costituzionale nonché molte sentenze
interpretative della Corte di Cassazione.
Tutto nasce da due diametrali interpretazioni date ai termini di riscossione imposti per legge:
da una parte Amministrazione Finanziaria sosteneva come il termine decadenziale di notifica
della cartella di pagamento – originariamente di 4 mesi dall’iscrizione a ruolo – fosse
meramente ordinatorio e che, comunque, si applicasse alla fattispecie il termine di prescrizione
ordinario decennale, dall’altra parte i contribuenti si difendevano dichiarando che il termine
ridotto di 4 mesi fosse, ad ogni effetto, perentorio ed invalidasse ogni notifica di cartelle di
pagamento eseguita dopo il suo spirare.
Inoltre, la notifica delle cartelle riguardanti alcuni controlli fiscali – quali, ad esempio, quelli
automatizzati ex art. 36 bis – era addirittura privi di termine ed aveva indotto l’ente riscossore a
ritenere di poter sempre notificare le cartelle (anche a distanza di moltissimi anni) senza
incorrere in decadenze e prescrizioni di sorta.
Sul punto è dovuta intervenire la Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 280 del 2005, ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 25 del D.P.R. 602/73 nella parte in cui non
prevede un termine di decadenza per la notifica delle cartelle di pagamento relative alle imposte liquidate ex art. 36 bis del D.P.R. 600/73.
Successivamente, la sentenza della Cassazione n. 667 del 15.01.2007 ha stabilito importanti principi sull’interpretazione della norma tra i quali quello
che il termine di decadenza per la notifica della cartella esattoriale – i già citati quattro mesi
dalla consegna del ruolo al Concessionario – si applicasse ad ogni ipotesi di riscossione e non
solo a quelle conseguenti ad accertamento fiscale. Analizzando in dettaglio il ragionamento
della Suprema Corte si apprendeva come “…la legittimità della pretesa erariale è subordinata
alla notificazione da parte dell’Amministrazione Finanziaria della cartella di pagamento al
contribuente, entro un termine di decadenza, dovendo l’ordinamento garantire l’interesse del
medesimo alla conoscenza, in termini certi, della pretesa tributaria, secondo quel principio di
certezza delle situazioni giuridiche, specie se consistenti in prestazioni onerose per il cittadino, di
rilievo costituzionale…”
La Corte ha, inoltre, rigettato l’impostazione della tesi dell’Amministrazione Finanziaria sia
sotto il profilo sostanziale sia sotto quello letterale. In ordine al profilo sostanziale la
Cassazione ha sancito che “…all’attività di riscossione, per la sua particolare incisione sulle
situazioni patrimoniali dei contribuenti, si applicano solo i termini decadenziali, posti da
disposizioni che, quando ne sono state private, hanno dato luogo ad interventi della Corte
Costituzionale…”. Sotto il profilo letterale, atteso che l’art. 25 già citato non pone alcuna
distinzione a riguardo, limitandosi a stabilire con formula ampia ed omnicomprensiva, che
qualunque cartella esattoriale, quale che sia la ragione della sua emissione, qualunque sia il
ruolo sulla base del quale essa sia emessa, deve essere portata a conoscenza del contribuente
entro un termine certo, posto a garanzia della certezza delle situazioni giuridiche dei
contribuenti. Il Legislatore si è trovato, quindi, nella necessità di modificare il predetto art. 25 al
fine di non perdere ogni diritto alla riscossione. Oggi esistono termini di decadenza certi per
l’ente riscossore a tutela del contribuente. Questi termini variano, però, a seconda del tipo di
tributo richiesto per cui risulta ostico per il comune cittadino comprendere se la c.d. “filiera”
sia stata rispettata oppure no.
Nonostante siano passati anni, sono ancora molte le criticità che si possono rilevare da un
controllo delle cartelle di pagamento. E’ del 10.02.2016, infatti, l’audizione avanti alla
Commissione Bilancio al Senato dell’amministratore delegato di Equitalia, Ernesto Maria
RUFFINI, il quale ha dovuto ammettere la “patologia estrema” delle quote inesigibili assegnate
negli ultimi tre lustri al riscossore dei tributi, ricordando che solo il cinque per cento dei 1.058
miliardi di euro di crediti sono “effettivamente lavorabili”. Inoltre, vi è un 20,5% di quei mille
miliardi di euro – pari a quasi 217 miliardi – che sono assolutamente inesigibili perche riferiti
a crediti già “…annullati dagli stessi enti creditori in quanto ritenuti indebiti a seguito di
provvedimenti di autotutela o di decisioni dell’autorità giudiziaria…”.
Insomma, per stessa ammissione dei vertici dell’ente riscossore, una volta su cinque il fisco e gli
altri enti pubblici richiedono pagamenti ai contribuenti senza alcun motivo.
Quanto alle amministrazioni “distratte”, in primo luogo ci sarebbero 175 miliardi provenienti
dall’Agenzia delle Entrate, mentre il resto si divide tra INPS (23,3 miliardi), INAIL (10 miliardi)
e altre amministrazioni pubbliche (7,4).
Il tutto senza contare altri profili di illegittimità delle cartelle quali, ad esempio, difetti di
notifica (Equitalia, in alcuni casi, continua a notificare a mani o a mezzo posta per mezzo dei
propri dipendenti che, però, non rivestono la qualifica di messi notificatori) oppure mancato
scomputo di pagamenti già avvenuti.
D’altra parte, se solo una cinquantina di miliardi su oltre mille di quei crediti sono
«effettivamente lavorabili», sembra chiaro che anche il restante delle cartelle esattoriali spedite
da Equitalia ha qualche problema.
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