La generalità delle banche ha applicato – per lungo tempo, prima del D.L. 185/08 convertito nella legge 28/1/09 n. 2 – ai rapporti di conto per le esposizioni, anche momentanee, in presenza o meno di un fido, una commissione, la Commissione di Massimo Scoperto, finalizzata a remunerare l’’utilizzo di disponibilità a debito e commisurata al massimo scoperto del trimestre, indipendente dalla durata dello stesso.
Tale Commissione, nell’accezione classica e tradizionale, era stata introdotta nel ’47 con la funzione di compensare l’intermediario bancario per l’onere di dover sempre essere pronto a fronteggiare l’utilizzo di un fido concordato: per la parte utilizzata, il corrispettivo per la banca era costituito dagli interessi, per la parte non utilizzata, la pronta disponibilità era remunerata dalla menzionata commissione.
Nella metodologia di calcolo, la CMS si è sostanzialmente discostata dalla tradizionale nozione di provvigione per la messa a disposizione delle somme, per venire ad assumere di fatto le caratteristiche proprie di una remunerazione aggiuntiva al tasso di interesse. Infatti è stata rovesciata la base di riferimento: nei casi di mancato ricorso al fido concesso nulla viene richiesto, mentre nel caso di utilizzo il credito concesso viene gravato, oltre che degli interessi, di questo ulteriore onere.
La Cassazione ha ritenuto che la CMS sia considerabile come una “remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione dei fondi a favore del correntista indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma” (Cass. 18 gennaio 2006, n. 870, in Giust. civ., 2006, 1, 50), affermandone la rilevanza ai fini della valutazione del rispetto della soglia del tasso usuraio, (Cass. 19 febbraio 2010, n. 12028, in Foro it., 2010, II, 382, con nota di Di Landro; conforme, Cass., 22 luglio 2010, n. 28743; s. Grindatto, Sul computo della commissione di massimo scoperto nella determinazione del tasso usurario, in Giur. it., 2010, 11; Lenoci, Commissione di massimo scoperto ed usurarietà del tasso di interesse, in Giur. merito, 2011, 4, 983).
E’ tuttavia pacifico in giurisprudenza che le banche non abbiano titolo per trattenere tali commissioni, frequentemente non pattuite tra la banca e l’impresa, in violazione del principio per cui i contratti bancari devono essere stipulati per iscritto e devono indicare non solo il tasso di interesse, ma anche ogni altro prezzo e condizione applicata.
Non solo. In numerose occasioni la giurisprudenza ha inoltre dichiarato la nullità delle CMS per mancanza di causa giustificatrice. Dottrina e giurisprudenza ritengono, infatti, che la CMS si risolva in un addebito di interessi diverso ed ulteriore rispetto a quelli convenzionalmente previsti per l’utilizzo del credito. Secondo tale tesi, il fatto che la CMS venga in concreto calcolata non sulla somma affidata bensì su quella utilizzata comporta che il correntista andrebbe di fatto a corrispondere alla banca un doppio interesse sulla medesima somma, uno convenzionale come interesse corrispettivo ed un secondo interesse sub nomine appunto di commissione di massimo scoperto (cfr., Trib. Milano, 4 luglio 2002, in Banca borsa tit. cred. 2003).
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